Com’è cambiata nel tempo la
concezione dell’amore?
Siamo nell’era della tecnologia,
un’epoca caratterizzata da una forte ambivalenza che trova le sue ripercussioni
anche nella rappresentazione dell’amore.
Da un lato l’amore è uno spazio,
forse l’unico, nel quale l’individuo può esprimere totalmente se stesso,
liberandosi dai ruoli che deve ricoprire nella società.
Dall’altro, in quanto luogo nel quale è possibile esprimere se stessi in un’apparente condizione di libertà che affranca dalle regole del sociale, l’amore può essere considerato una forma radicale di individualismo.
Dall’altro, in quanto luogo nel quale è possibile esprimere se stessi in un’apparente condizione di libertà che affranca dalle regole del sociale, l’amore può essere considerato una forma radicale di individualismo.
Il rischio sembra essere quello di
cercare se stessi nell’altro, di non vivere la relazione, ma di provare a
realizzare se stessi in un contesto che è invece fondamentalmente relazionale e
che può far perdere, dentro la relazione, il rapporto con l’altro.
“Per effetto di questa strana
combinazione, nella nostra epoca l’amore diventa indispensabile per la
propria realizzazione come mai lo era stato prima, e al tempo stesso impossibile
perché, nella relazione d’amore, ciò che si cerca non è l’altro, ma, attraverso
l’altro, la realizzazione di sé”[1].
Nelle società tradizionali non
c’era pressoché nessuno spazio per le scelte del singolo, l’amore sanciva
infatti l’unione di due famiglie. Era un istituto importante che chiamava in
causa la sicurezza economica, la salvaguardia del patrimonio e una situazione
di prestigio.
Oggi ci si sceglie per amore, sembrano esserci molte meno influenze esterne, le pressioni familiari o religiose per il mantenimento di un determinato status, sembrano aver perso totalmente importanza e domina una visione romantica dell’amore, in cui la scelta del partner rappresenta la maggiore forma di libertà individuale.
Effettivamente i parenti, la
famiglia nella quale nasciamo, non possiamo sceglierla mentre il compagno di
una vita, o di un tratto di essa, senz’altro si.
Si è diffusa sempre più un’idea
idealizzata dell’amore come luogo di libertà, nel quale è possibile
esprimere totalmente se stessi, a differenza di quanto avviene nella società
esterna, dove le regole da seguire sono spesso esplicite e inevitabili.
La società è il luogo della
costrizione, delle maschere da indossare per non essere schiacciati e
l’intimità rappresentata dall’amore sembra essere il luogo della sincerità,
dell’autenticità, della verità, della ricerca del senso di sé. Il luogo dove si
può sperimentare la propria libertà fino a sfiorare l’anarchia.
“E perciò in amore costruzione
e distruzione avvengono insieme, esaltazione e desolazione camminano
affiancate, realizzazione di sé e perdita di sé hanno intimi confini”[2]
L’amore rappresenta una realtà in
cui ciascuno, attraverso la relazione con l’altro, desidera realizzare se
stesso.
Ma la visione dell’amore come modo
per realizzare se stessi si incontra/scontra con la natura essenzialmente
relazionale dell’amore.
L’amore è un modo per uscire dalla
solitudine, ma se la concentrazione su se stessi non permette di guardare e
sentire l’altro la solitudine resta ed erige alte mura difficili da
oltrepassare.
L’altro infatti non è solo un
riflesso in uno specchio, ma una persona in carne ed ossa con una storia e un
percorso di ricerca di sé, valido quanto il nostro.
L’incontro è sempre foriero di
cambiamento, di modifica del sé e della relazione.
È messa in gioco di se stessi che
deve passare per il superamento dell’idealizzazione dell’altro e della visione
stessa dell’amore.
È vero infatti solo in parte che
nell’epoca attuale i condizionamenti del sociale sulla vita affettiva sono
pressoché nulli.
La scelta del partner non è quasi
più esplicitamente condizionata dalle famiglie d’origine per questioni
economiche, religiose o razziali, ma rimane l’influenza simbolica che è spesso
altrettanto forte delle pressioni concrete.
Cosa ne pensate?
Maria Grazia Rubanu
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