(…) forse sarebbe meglio dire che i tempi sono:
il presente del passato;
il presente del presente;
il presente del futuro (…)
Il presente del passato è la memoria,
il presente del presente è l’intuito;
il presente del futuro è l’attesa.”
(Sant’Agostino-Le Confessioni, libro XI, 20, 28).
Quante volte ci siamo fermati a cullarci in vecchi ricordi che hanno preso un sapore dolce perché li abbiamo arricchiti di un’emozione ricostruita a posteriori, falsata dall’illusione che le sensazioni di quei momenti non torneranno più?
La malinconia e la nostalgia hanno un sapore dolce e amaro allo stesso tempo: viviamo come se il meglio fosse già passato, con la sensazione che nel tempo che ci resta da vivere non riusciremo più a provare le stesse emozioni, la stessa gioia. Ricerchiamo con tutto il nostro essere la sensazione di quei momenti ormai andati ascoltando le vecchie musiche, guardando le vecchie foto, custodendo vecchi oggetti dai quali non riusciamo a separarci. Facciamo fatica a uscire dalla dimensione del passato e stare a sentire il tempo presente. Il corpo di atrofizza, l’organismo si assopisce e si muove in uno stato di sonnambulismo che rende i movimenti più faticosi. Stiamo lì seduti in poltrona o sdraiati in un letto a veder scorrere quelle immagini come in uno schermo nel quale non si può entrare. Le scene scivolano con un’unica storia, la storia che è custodita nella nostra memoria. Un unico ricordo, un’unica versione che si è cristallizzata nei nostri pensieri e nelle sensazioni del nostro corpo.
Ci avvolge un senso di impotenza che ci fa credere che per poter stare bene ci vuole un “miracolo”, un qualcosa che arriva all’improvviso dall’esterno e ci libera dalla campana dentro la quale ci siamo rinchiusi.
La fantasia e l’immaginazione sono le uniche cose che hanno il potere di portarci lontano, di farci librare in volo e alleggerirci da quello stato di pesantezza che non ci fa nemmeno muovere un passo. Così ci rifugiamo dietro la visione di bellissimi film con un lieto fine o dietro la lettura di libri che ci catturano e che ci fanno immedesimare talmente tanto nei personaggi, che perdiamo il contatto con noi stessi.
In altri periodi invece ci sentiamo spinti da una forza che ci fa correre senza mai fermarci. In quei momenti non sentiamo la stanchezza, ma siamo all’inseguimento di un qualcosa che “forse”ci porterà a trovare uno “stato di benessere”, a ritrovare quel “famoso stato di gioia”.
Ci poniamo un obiettivo e cerchiamo di perseguirlo contro tutto e tutti. Come un tornado distruggiamo quello che ci circonda senza rendercene conto. In questo caso il nostro corpo non sente il bisogno di riposare, di fermarsi a rifocillarsi per continuare il cammino con più energia, ma continua a muoversi in modo disordinato, affaticandosi inutilmente. Si corre verso un’apparente meta, ma nella fretta di arrivare si perde di vista il “senso del cammino”.
Cosa ci succede in questi due casi che apparentemente sembrano opposti?
Il nostro pensare e sentire si rivolge solo ad un tempo lontano del passato o del futuro ed è per questo che la maggior parte delle nostre frasi iniziano con “Come era bello quando…” oppure “Come sarebbe bello se…”.
Quanto è difficile vivere nel “qui ed ora”? Prendersi la responsabilità delle nostre azioni in ogni momento che passa, scegliere i sentieri da percorrere e perché no… gli ostacoli da superare.
Il nostro essere è in grado di arenarsi così come è in grado di andare avanti. Non esiste un modo migliore di un altro per farlo, ma ognuno deve trovare il proprio dentro di sé, nessuno può regalarci una formula, ma possiamo trovare qualcuno che ci accompagni e sostenga per un po’ solo per capire che tutti possiamo farcela nella vita, credendo in noi stessi e avendo fiducia che le cose possano accadere. Un incontro tra tempo e spazio che ci ricorda in ogni momento che ogni contesto ha il suo tempo, e solo noi possiamo creare il nostro tempo e il nostro spazio condividendolo con il tempo e lo spazio di ogni persona che ci circonda.
Voi in che tempo vivete? …
Melania Cabras
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