Un ragazzo si grattava continuamente la testa. Vedendolo, un giorno
suo padre gli chiese: “Perché ti gratti continuamente la testa?”. Il
ragazzo gli rispose: “Suppongo di essere il solo in grado di sentire i
suoi pruriti!”.
Questo è intuito! Solo tu lo sai. Nessun altro può saperlo, perché è
impossibile vederlo dall’esterno. Quando hai mal di testa, solo tu lo
sai e non puoi provarlo. Quando sei felice, solo tu lo sai e non puoi
provarlo. Non puoi prendere questo tuo intuito e metterlo su un tavolo,
in modo tale che chiunque possa ispezionarlo, dissezionarlo,
analizzarlo.
Di fatto l’intuito è così intimo che non puoi affatto dimostrarne
l’esistenza. Ecco perché la scienza continua a rinnegarlo, ma il suo
diniego è disumano.
Anche lo scienziato sa che, quando è innamorato, prova una sensazione
interiore: qualcosa è presente in lui! Non è una cosa, non è un
oggetto, non può neppure mostrarlo agli altri: tuttavia è presente!
L’intuito ha un proprio valore; però le persone, a causa delle
nozioni scientifiche acquisite, hanno perso la fiducia in esso.
Dipendono dall’opinione degli altri: tu dipendi talmente dall’opinione
altrui che, se qualcuno ti dice: “Sembri molto felice”, ti senti davvero
felice. Se venti persone decidessero di renderti infelice, potrebbero
riuscirci. Dovrebbero soltanto continuare a dirtelo per un giorno
intero; a ogni vostro incontro, dovrebbero ripeterti: “Sembri molto
infelice, molto triste! Che problema hai? È morto qualcuno, che cosa è
successo?”. In te sorgerebbe il sospetto: se tante persone continuano a
dirti che sembri infelice devi proprio essere infelice.
Tu dipendi dall’opinione altrui. Da sempre dipendi dall’opinione
altrui e hai perso ogni traccia del tuo intuito, del tuo sentire. Devi
riscoprire questo senso interiore, poiché solo con il tuo intuito puoi
sentire tutto ciò che è bello e buono, tutto ciò che è divino.
Smettila di lasciarti influenzare dalle opinioni altrui; comincia
piuttosto a guardarti dentro… permetti al tuo intuito di parlarti.
Fidati del tuo intuito e, se ti fiderai, crescerà. Se ti fiderai, lo
nutrirai e si rafforzerà.
"Basta poco per rendere felice una vita; è tutto dentro di te, nel tuo modo di pensare."- Marco Aurelio
Le
circostanze esterne possono certamente rendere la nostra vita
complicata. Ma un ruolo estremamente importante - spesso decisivo - nel
costante tentativo di essere felici è svolto dal nostro pensiero, dai
nostri comportamenti e dalle nostre abitudini.
Se
sulle circostanze esterne spesso non abbiamo il potere di incidere
perché al di fuori della nostra sfera di influenza, il nostro
atteggiamento e le nostre abitudini sono invece elementi sui quali
abbiamo la possibilità di esercitare un controllo totale.
Ecco
degli esempi di alcune delle abitudini quotidiane più distruttive che
le persone infelici si creano da sole e che contribuiscono a minare in
modo decisivo la loro felicità.
1. Temono il giudizio degli altri.
Molte persone hanno una preoccupazione costante nei confronti delle
opinioni e dei giudizi degli altri al punto che, pur di non prestare il
fianco a critiche o commenti negativi, di fatto scelgono di non esporsi,
rimangono dietro le quinte e finiscono per vivere un'esistenza
estremamente limitata.
Ma perché precluderti interessanti esperienze e stimolanti novità solo perché qualcun altro potrebbe fare dei commenti su di te?
Come superare questa abitudine:
-
Prendi consapevolezza del fatto che gli altri si preoccupano di ciò che
dici e di ciò che fai molto meno di quanto pensi. Rilassati, perché non
c'é nessun riflettore puntato su di te.
- Cambia prospettiva: invece di pensare costantemente a te stesso e a
come gli altri ti percepiscono, concentra la tua attenzione sugli altri
e sui loro bisogni. Ascoltali, aiutali. Questo ti aiuterà a
incrementare la tua autostima e a limitare la tua visuale egocentrica.
2. Si complicano troppo la vita.
La vita è spesso già troppo complicata di per sé. Ma altrettanto spesso
siamo noi stessi a renderla ancora più complicata di quanto
effettivamente non sia, e questo nostro atteggiamento contribuisce in
modo decisivo a innalzare i nostri livelli di stress e insoddisfazione.
È
vero che il mondo è sempre più complesso, ma questo non significa che
non puoi iniziare a creare già oggi delle nuove abitudini che rendano la
tua vita un poco più semplice.
Come superare questa abitudine:
-
Invece di dedicarti comtemporaneamente a mille e più attività tra la
frenesia e la confusione, prova a stabilire ogni giorno 2-3 priorità su
cui focalizzare la tua attenzione e occupati soltanto di esse.
- Hai troppe cose che contribuiscono a creare caos e confusione.
Inizia a prendere l'abitudine di domandarti con regolarità: "ho usato
questa cosa nell'ultimo anno?". Se la risposta è no, buttala o regalala
senza pensarci troppo!
- Comunica: non aspettarti che gli altri siano in grado di leggere nella
tua mente e di anticipare sempre le tue aspettative. Esprimi ciò che
senti, fai domande quando non capisci e non dare nulla per sottinteso o
per scontato. Questo ti aiuterà a ridurre al minimo conflitti inutili e
incomprensioni.
- Disconnettiti: non lasciarti ossessionare dal bisogno di essere
costantemente connesso a internet, inviare l'ennesimo sms o rispondere
al telefono mentre stai parlando con una persona.
- Quando ti senti sopraffatto dalle circostanze, in preda allo stress e
alla confusione, semplicemente fermati. Siediti comodamente e
concentrati sul tuo respiro per alcuni minuti senza fare nulla e senza
pensare ad alcunché.
3. Associano la felicità alla perfezione.
È forse necessario che la tua vita sia perfetta affinché tu possa ritenerti felice?
Se
credi che la perfezione sia la premessa indispensabile della felicità,
allora con tutta probabilità sei destinato a rimanere deluso dalla
verità dei fatti.
La felicità non puoi trovarla nella perfezione,
quanto piuttosto nella capacità di sapere gestire il mondo di
imperfezioni e difetti che contraddistingue te e il mondo che ti
circonda.
Come superare questa abitudine:
- "Buono" va benissimo: mirando alla perfezione di solito significa
arrovellarsi su un'idea o un'iniziativa e non portarla mai a termine.
Ciò che è buono spesso è ciò di cui hai bisogno, senza necessità di
arrivare alla perfezione. Questo non significa agire pigramente o non
aver cura dei dettagli, ma riconoscere il valore di ciò che già è ben
fatto pur non essendo ancora perfetto.
- Ogni volta che ti dedichi a un progetto o a un'iniziativa, poniti
una scadenza entro cui completarla. Arrivato alla scadenza, considera
come completato il lavoro: questo ti aiuterà a liberarti dell'idea che
il progetto richieda ancora delle rifiniture forse inutili.
- Prendi consapevolezza del fatto che il mito della perfezioni ti
costa moltissimo in termini di energie fisiche e mentali. Fai del tuo
meglio per fare bene le cose e poi rilassati, senza ossessionarti. Ne
guadagnerai in serenità e in qualità della vita e delle relazioni.
4. Vivono in un mare di voci negative.
Nessuno è un'isola. Coloro con i quali socializziamo, ciò che leggiamo,
guardiamo e ascoltiamo ha un notevole effetto sul nostro pensiero e sul
nostro stato d'animo.
Diventa molto più difficile essere felice
se ci si lascia trascinare giù dalle voci negative di coloro che sono
intorno a noi. Molte voci che sanno guardare l'esistenza soltanto da una
prospettiva negativa ci dicono costantemente che la vita è piena di
difficoltà, pericoli, limiti e paure.
Come superare questa abitudine:
Lo strumento più potente che hai a disposizione è quello di sostituire
le voci negative e pessimiste con pensieri e influssi positivi: questo
semplice approccio può aprirti un nuovo mondo.
Prova allora a
trascorrere più tempo con persone positive e solari, ascolta musica e
leggi libri che ti ispirino, ti facciano sorridere e pensare alla vita
in un modo nuovo.
5. Rimangono bloccati nel passato e si preoccupano del futuro.
Trascorrere molto del tuo tempo con la mente nel passato e rivivere
vecchi ricordi dolorosi, conflitti e opportunità, può fare davvero male.
Trascorrere
molto del tuo tempo con la mente nel futuro preoccupandoti degli
scenari peggiori che potrebbero accaderti in salute, in amore e sul
lavoro, può fare ancora più male.
Non fermarti a cogliere in pieno e ad assaporare il qui e ora può farti rinunciare a una miriade di esperienze meravigliose.
Come superare questa abitudine:
E' praticamente impossibile non pensare al passato o al futuro. Ed è
ovviamente importante saper pianificare il futuro e cercare di imparare
dal passato.
Ma soffermarsi troppo a lungo sul domani o sullo ieri raramente è di troppo aiuto.
Prova
allora, ogni volta che puoi, a vivere semplicemente nel momento
presente. Concentrati su quello che stai facendo, qualsiasi cosa tu stia
facendo, anche la più banale.
Se stai spazzando il pavimento,
dedicati esclusivamente a questo, senza pensare ad altro. Se stai
parlando con qualcuno, dedicagli la tua completa attenzione, senza
distrazioni. E così via...
6. Confrontano la propria vita con quella degli altri.
Un'abitudine quotidiana molto diffusa e allo stesso temo estremamente
distruttiva è quella di confrontare continuamente la propria vita con
quella delle altre persone. Si mettono a confronto automobili, case,
posti di lavoro, scarpe, denaro, relazioni, popolarità sociale e così
via. E così facendo si finisce per annientare la propria autostima e
generare una mole significativa di sensazioni negative.
Come superare questa abitudine:
Prova a sostituire questa abitudine distruttiva con altre due diverse abitudini.
- Confrontati con te stesso. Per una volta, lascia stare gli altri e
concentrati soltanto su te stesso. Valuta quanto sei cresciuto, cosa
hai raggiunto, quali progressi hai compiuto verso il raggiungimento dei
tuoi obiettivi. Questa abitudine ha il vantaggio di generare
gratitudine, apprezzamento e gentilezza verso te stesso, perché ti offre
l'occasione di osservare da dovei sei venuto, gli ostacoli che sei
riuscito a superare e tutto ciò che di buono sei stato in grado di
compiere.
- Sii gentile. Il modo di pensare e di comportarsi
verso gli altri riveste un ruolo considerevole su come pensi e come ti
comporti verso te stesso. Più giudichi e critichi gli altri, più
tenderai a giudicare e a criticare te stesso. Più sarai gentile e
disponibile con gli altri, più lo sarai con te stesso. Concentrati
sulle cose positive presenti in te stesso e nelle persone intorno a te.
Apprezza ciò che di positivo c'è in te stesso e negli altri.
7. Si concentrano sugli aspetti negativi della propria vita.
Focalizzarti costantemente e in modo pressoché esclusivo sugli aspetti
negativi di qualsiasi situazione è la via maestra per condurti
all'infelicità. E per far crollare il buon umore di coloro che ti sono
intorno.
Non è uno scenario molto attraente, vero?
Come superare questa abitudine:
- Il superamento di questa abitudine può essere tutt'altro che agevole.
Un approccio molto spesso efficace è quello di liberarsi dal vizio del
perfezionismo: accetta che le cose e le situazioni abbiano i loro
aspetti positivi e negativi piuttosto che pensare che tutti i dettagli
debbano necessariamente essere a posto in modo impeccabile.
In questo modo puoi riuscire in modo più agevole a lasciarti scivolare
via sia emotivamente che mentalmente ciò che è negativo, invece di
soffermarti su di esso e amplificarne la portata.
- Un'altra
soluzione vincente è semplicemente quella di concentrare i tuoi sforzi e
le tue energie sull'essere costruttivo, anziché lasciarti vincere
dall'abitudine di lamentarti di ogni dettaglio negativo.
Puoi farlo ponendoti domande propositive, quali: "Come posso trasformare
questa cosa negativa in qualcosa di utile o positivo?" oppure "Come
posso risolvere questo problema?"
Domande
a Doreen: Come Faccio a Scoprire Qual è lo Scopo della Mia Vita?
Domanda: Come faccio a scoprire qual è lo scopo della mia
vita?
Risposta: La risposta alla domanda riguardo allo scopo della tua vita è
sempre la stessa: “Amore”.
Ma potresti rifiutare questa risposta considerandola troppo semplicistica e
generica. La forma e la direzione che lo scopo della tua vita assume sono la
tua vera preoccupazione. Vuoi realmente sapere quali sono i prossimi passi da
compiere e come distaccarti da situazioni che ti rendono infelice.
L’anima
interiore (il sé superiore) ti spinge a fare
di ogni momento qualcosa di importante, e noi aggiungiamo che
questo fa parte del piano che Dio ha per te. Utilizza ogni istante per fare
brillare gli occhi a qualcuno o per scaldargli il cuore. Serviti del tuo potere
rassicurante per andare incontro ai bisognosi, e usa le tua abili mani per
liberare dallo stress le Divine pianure della Terra. Utilizza così i tuoi
talenti, e sarai ricompensato tutti i giorni. Sogni una maggiore libertà in
termini di tempo e di denaro perché così potresti cedere ai tuoi desideri più
profondi? Ti invitiamo ad assecondare tali sogni, a non considerarli capricci.
Sono la mappa per raggiungere lo scopo della tua vita.
Ci
rendiamo conto del fatto che, se poni questa domanda, è perché fai fatica a
credere che i tuoi sogni siano realizzabili. Eppure, tutti coloro che sognano e
che inseguono i propri sogni possono testimoniare di aver costruito il proprio
successo grazie ai passi guidati da un desiderio intriso di coraggio e spirito
di iniziativa. Hai gli stessi diritti dei tuoi fratelli di realizzare i tuoi
sogni!
Semplifica
i tuoi desideri avvicinandoti a loro oggi. Considerali a tua disposizione, e
sarà più facile goderne. Quando preghi per lo scopo della tua vita, senti
subito la nostra risposta nel tuo cuore. Ti concediamo tutte le misure che
desideri. Tuttavia, se non arrivi ad attuarle è perché ti allontani dal sogno
per tornare a ciò che consideri “realtà.” Ma non è più necessario; non più.
Metti in pratica oggi tutte le tue buone intenzioni.Liberati dell’infelicità che
tu stesso generi, creando innanzitutto nuove dimensioni di luce nella tua vita
quotidiana. Ascolta un collega di lavoro, perdona un amico, nutri un animale
affamato. Qualsiasi gesto di carità andrà bene e ti darà la spinta per
affrontare le situazioni che consideri inaccettabili. Nell’infondere nuova luce
alla tua vita, il tuo cuore si riempie del coraggio ritrovato. Utilizzalo
saggiamente per adottare sempre più misure che ti ricordino dei tuoi desideri e
dei tuoi sogni. Una dopo l’altra, queste misure soccombono al tuo passaggio e
ti consentono di raggiungere con piede sicuro la vetta della montagna, fino a
quando un giorno non scoprirai di poter dare agli altri la risposta alla
domanda che tu stesso hai rivolto in passato: “Qual è lo scopo della mia vita?”. Allungherai la mano
e, attraverso l’esempio, mostrerai la strada che, seguendo il percorso del
desiderio tracciato dal cuore, ti ha condotto alla gioia e all’appagamento,
dando senso alla tua vita.
Qualche tempo fa per una strana casualità della vita mi ritrovai su un divano oscuro, che la diritta via era smarrita…
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura, ma forse sto andando nella direzione sbagliata quindi… torniamo alla strana casualità.
Il telecomando, animatosi di vita
propria, fece partire un film che non avevo mai sentito nominare, ma il
cui titolo mi incuriosì parecchio: “Carissima Me”.
Di che parlava questo film?
Eccoti qui, para para la wikipediata relativa:
Margaret (Sophie Marceau) è una donna in carriera dal pugno di ferro.
Ma il giorno del suo quarantesimo
compleanno, un notaio di una piccola provincia le invia delle vecchie
lettere che si era spedita quando aveva sette anni: una corrispondenza
che aveva scritto da sola “nell’età della ragione”.
Rileggendole una a una, si immerge
in ricordi nascosti, situazioni dimenticate, i primi amori, giochi e
ambizioni che fanno vacillare tutte le sue certezze e rimettono in
questione la sua vita.
Perché da adulta è diventata il contrario di quello che desiderava da bambina…
E’ un film che non ha mai vinto
alcun Oscar né premi della critica (forse perché… è divertente?) ma
nonostante non possa certo vantare illustri parentele con Lanterne Rosse
o I Segreti di Brokeback Mountain, lo considero uno di quei film “da
vedere”.
Pensa un po’… arrivi a quarant’anni –
anno più, anno meno – e cominci a ricevere delle lettere dal te stesso
“piccolo” e… improvvisamente ti ritrovi a fare i conti con le differenze presenti nella tua vita.
Le differenze fra la tua vita di oggi e
Quello che sognavi
Quello in cui credevi
Quello che per te era realmente importante
Insomma, una bella sfida, non credi?
Certo, qualcuno potrebbe dire: “Grazie… io da piccolo credevo persino a Babbo Natale”.
A questo punto potrei chiederti se eri
più felice ieri, quando credevi a Babbo Natale, oppure oggi che sai con
certezza che non esiste nessun vecchio con la barba bianca (a parte
Capitan Findus) ma che esistono le code in tangenziale la mattina, i
controllori sul pullman quando non hai il biglietto, i professori che ti
fanno l’unica domanda a cui non sai rispondere, l’ultimo iPhone venduto
a quello entrato un secondo prima di te, le persone che non rispettano
la fila alle Poste, i treni in ritardo ma… saltiamo questo passaggio.
Ricordo alcune delle cose che per me erano importanti, quando ero piccino.
Ricordo una parentesi sportiva da “sarò il più grande portiere del mondo“.
Sognavo che sarei diventato una specie
di superman con i guantoni, capace di volare da una parte all’altra dei
pali, senza mai prendere un goal nella vita. Acclamato dalle folle, con
una divisa a metà fra un wrestler japponese ed uno dei Rockets,
mi sarei ritirato imbattuto a 81 anni suonati e solo perché me lo
avrebbero chiesto in ginocchio i giocatori delle altre squadre.
Puntavo un po’ troppo alto? Forse. Ma mi piaceva tanto e poi… che senso ha un sogno terraterra?
Un sogno comunque presto infranto, nel
vero senso della parola, contro due denti “volati” via. Improvvisamente
la maglia numero 1 perse tutto il suo fascino… e mi innamorai della
briscola.
Ricordo poi un discorso tecnologico
fatto a mia nonna in cui le promettevo che sarei diventato uno
scienziato in grado di curare qualunque malattia, e che quando lei
sarebbe morta – perché, nonna… diciamoci la verità, prima o poi toccherà
anche a te… – io avrei trovato il modo di resuscitarla. Possibilmente
meglio che in The Walking Dead.
Avevo 8-9 anni ma ricordo distintamente che lei fece un gesto strano. Come di grattarsi “qualcosa”…
Da piccolo ero un timidone. Infatti
attaccavo bottone soltanto con chiunque mi guardasse per più di un
nanosecondo. E potevo intrattenere una persona per ore, se mi si dava
l’occasione. E se nessuno chiamava i Carabinieri per farmi riportare a
casa…
Mi piaceva l’idea del comunicare.
Oddio non che fosse realmente
comunicazione, se non a senso unico. Io mi occupavo soltanto di parlare.
Ascoltare non faceva parte dei miei bisogni primari, diciamo. Forse
perché gli altri erano talmente “lenti” da non riuscire ad inserirsi
nelle mie micropause.
Fortuna che poi, praticando l’apnea,
imparai a trattenere il respiro anche per 20-25 secondi, di fila!!!
Diventò presto più semplice comunicare con me.
Ricordo che per me era importante
disegnare, colorare, ritagliare, che andavo matto per le costruzioni, e
che con i lego facevo cose che un ingegnere farebbe fatica a riprodurre.
Forse perché un ingegnere non gioca con le costruzioni. O meglio, come
direbbe il mio amico ingegnere:
“Un ingegnere non gioca. Produce. Da quando è nato.“
Ho scoperto solo da poco che la potente Setta degli Ingegneri Estinti ha un motto quasi militare:
“Una volta dei nostri, sempre dei nostri. Ingegnere tutta la vita!” (Ciao Meme questa è per te :lol:)
Ecco il mio amico Dott.Ing. a 7 anni
Ricordo poi ore ed ore passate a sognare sui libri e sui fumetti, costruendo mondi fantastici in cui Don Abbondio viveva con Nonna Papera come domestica, l’Uomo Ragno ed Hulk gestivano un ristorante poco fuori Porta Romana -
e voglio vedere chi ha il coraggio di dire che il pesce non è
particolarmente fresco – Batman e Robin potevano fare tranquillamente
“coming out” perché tanto qui siamo tutti per le libertà (già da
piccolino questi due non me la raccontavano giusta…) Sandokan
faceva il controllore sugli autobus – e nessuno si sognava di non
pagare il biglietto – Dante era guida turistica per il Touring Club e
via di questo passo.
Ovviamente io ero il Sindaco di questo improbabile luogo di allegria et divertimento in cui persino il Dolce Remì si sarebbe fatto quattro risate.
Ma poi, crescendo un po’, ho notato che
non erano in molti, a parte me, a voler vivere in un luogo di questo
tipo. Forse non era ancora il tempo per la fantasia al potere.
Anche perché, diciamoci la verità, lo sanno tutti che Remì porta sfiga ehm…
è un povero orfanello che, nella sua allegra vita, ha visto perire di
peste bubbonica chiunque gli abbia anche solo appoggiato una mano sulla
spalla.
Da piccolo per me era importante poter
fantasticare, poter inventare, potermi divertire in ogni modo possibile.
Probabilmente come per il 99% dei bambini. Ovviamente l’1% che rimane è
rappresentato dai bimbi ingegneri.
Poi sono cresciuto…
E sono riuscito a mantenere
questo mio lato “piccolo” abbastanza “grande” da riuscire a passare in
mezzo al processo per cui molti adulti dimenticano improvvisamente di
esser stati a loro volta bambini.
Sarà forse per questo che vado moltisssssimo d’accordo con i pargoli.
Forse riescono a sentire, ad un qualche livello, che pur essendo un adulto, faccio comunque ancora parte del loro Club Privato.
Il Club del Fantastico.
Se incontrassi oggi il mio “piccolo me”
di un tempo, sarebbe felice della mia decisione di mantenere presenti
nella mia vita questi valori per lui così importanti.
Oggi qualunque cosa io faccia, in qualunque cosa mi impegni, qualunque cosa voglia creare, devo potermi divertire per sentire un senso di pienezza nella mia vita.
Poi curiosamente, mi occupo di qualcosa – il coaching – in cui la comunicazione è fondamentale, e… indovina? Mi diverto.
E ascolto, più che parlare.
Senza nemmeno andare in apnea.
Quando si dice “i casi strani della vita“…
E adesso togliTI una curiosità:
Se tu ricevessi una lettera dal te stesso di 7 anni, cosa ti direbbe?
Rimani con te stesso. Il mondo cerca tutto il tempo di distrarti e di
condurti lontano dal tuo centro, ma questo centro è la cosa più
importante che hai. Senza sei perduto e in balia delle forze esterne.
Se ti fermi ti trovi subito e una grande gioia riempie il tuo cuore. Avere se stessi è il bene più prezioso che ci sia.
Chiudi gli occhi, fai un respiro profondo, lascia andare i pensieri
agitati, e piano piano giunge un profondo silenzio, e in quel silenzio
ci sei tu, il vero te stesso, silenzioso, vuoto e pieno al tempo stesso.
Osserva il mondo con quegli occhi e vedrai che nulla può toccarti. Tu
sei al di là della manifestazione, al di là del nascere e del morire,
dello spazio e del tempo, e rimani tale qualunque cosa accada.
Trova questo centro. E tienilo con te anche se il mondo sembra volertelo portare via.
Puoi perdere tutto, ma non questo centro.
Puoi avere tutto ma se non sai chi sei non hai nulla in mano.
by Enrico Maria Secci In
psicologia il termine resilienza indica la capacità dell’individuo di superare
e di trarre forza da eventi stressanti e traumatici. E’ un’espressione della duttilità
della psiche e del dinamismo della personalità che spiega come molti individui
trasformino situazioni oggettivamente sfavorevoli in occasioni di cambiamento
vantaggiose per la propria evoluzione verso la piena realizzazione di sé e la
felicità. Il concetto di resilienza è mediato dalla scienza dei materiali, per
la quale un materiale ad alta resilienza è un grado di adattarsi a pesanti
sollecitazioni mantenendo la sua forma originaria. Analogamente, ci sono persone che rispetto a
situazioni avverse dimostrano un’levata soglia di tolleranza alla frustrazione
e adottano strategie per ricavarne un vantaggio e persone non resilienti o
scarsamente resilienti che si lasciano schiacciare dalle difficoltà partendo
dall’idea di non poter cambiare e irrigidendosi su sistemi di convinzioni
negative che le atterrano nell’insoddisfazione o in forme più o meno gravi di
disagio psicologico.
La resilienza è associata alla
perseveranza, alla creatività, all’empatia e al pensiero positivo e si basa sul
presupposto che tutto serva. Tutto serve, tutto contiene un messaggio
prezioso, tutto rappresenta una possibilità evolutiva anche se nell’emergenza
della sofferenza è difficile individuarla. Gli individui resilienti si pongono
rispetto alla realtà in modo attivo: la inventano, la costruiscono, la adattano
a sé e, tra i molteplici significati degli eventi, selezionano sempre quello
più positivo.
La
resilienza non è una caratterista genetica, ma un’opportunità che tutti gli
esseri umani possono cogliere lavorando su l’unica variabile che possono
veramente controllare: il proprio pensiero. Il resiliente usa tutti i colori della tavolozza
del proprio cervello. Il non resiliente, si limita al grigio e al nero. E sono
entrambi nel “giusto”, ma i primi saranno persone serene ed equilibrate, i
secondi, alteri guardiani del proprio ergastolo mentale da loro stessi
inflitto.
Dagli
anni ’80, la resilienza è diventato un concetto-chiave nella psicoterapia, nel
coaching professionale e nella psicologia del lavoro: l’intervento psicologico,
a prescindere dal contesto che lo richiede, si configura sempre di più come un
insieme di strategie, di tattiche e di tecniche per apprendere, incoraggiare e
incrementare la resilienza umana. Per sviluppare questo straordinario stile di pensiero
occorre prima di tutto assumere
per quanto possibile un atteggiamento aperto e non giudicante rispetto a se
stessi, agli altri e al mondo. E’ il passo più difficile, dato che definizioni
rigide della realtà rappresentano per molti una barriera contro la sua
complessità e un tentativo di controllarla illusoriamente. Eliminare del tutto pregiudizi e
convinzioni limitanti è però utopistico: si può al limite diventarne
consapevoli e cercare di arricchire il proprio punto di vista di alternative
diverse da quelle offerte dall’abituale approccio alle cose, quello che
consideriamo spontaneo ma che è soltanto il frutto di una combinazione di
esperienze e di apprendimenti, a volte inconsci, non sempre funzionali. A cosa serve giudicarsi sbagliati,
tristi, sfortunati? A cosa serve pensare che un problema sia irrisolvibile? A
cosa serve piangere sul latte versato? Qual è l’utilità del pensare che il
mondo sia un luogo pieno di insidie? Si tratta di giudizi, di visioni della
realtà certamente vere, ma non più di altre di segno opposto che però aprono la
strada alla resilienza, alla soluzione strategica e creativa dei problemi e
alla costruzione di un equilibrio nuovo.
La
resilienza psicologica non è semplice “pensiero positivo”, consiste
nell’accompagnare il pensiero positivo all’azione con perseveranza, anche nelle
situazione più complicate. Si può definire resiliente chi apprende dalle
difficoltà senza la pretesa di risolvere subito i problemi e chi ha un’elevata
soglia di resistenza alle frustrazioni. Soggetti scarsamente resilienti, invece, sono
caratterizzati da un certo grado di rigidità e, una volta strutturatouno schema
della realtà, rifiutano di variarlo anche quando risulta impedire equilibrio e
realizzazione personale. Bassa resilienza è correlata ad elevati livelli di
conflittualità interpersonale e sofferenza psicologica, oltre che a scarsa
capacità di realizzare le proprie attitudini.
***Una
storia famosa sulla resilienza
Per
capire meglio cosa sia la resilienza, si pensi alla storia di un ragazzo molto
sfortunato:
figlio di una ragazza madre che lo dà in adozione viene costretto a frequentare
l’università prima ancora di aver compreso cosa volesse fare nella vita. Gli
studi, costosissimi, vanno a rotoli gettando quasi sul lastrico la sua famiglia.
Disorientato, ma perseverante, il ragazzo resta la Campus. Si arrangia
raccogliendo lattine nel parco in cambio di pochi dollari e dormendo ospite
nelle stanze dei colleghi e a volte per strada. Una situazione terribile. Nel
grigiore e nell’apatia per la vita universitaria, il ragazzo trovava la
bellezza soltanto nei manifesti e nelle scritte appesi nei corridoi provenienti
dal corso di calligrafia ospitato in quella Università. Così, sulla scia di un’intuizione, decide di frequentare le lezioni di calligrafia
e si appassia ai diversi tipi di carattere, all’arte di disegnarli, comporli e
separarli a mano così da ottenere sempre un risultato perfetto. Certo, quella
scelta non aveva nulla a che fare col suo ambito di studi, ma era la sola cosa
che sentisse di fare in quel momento confuso della sua esistenza.
Quel
ragazzo era Steve Jobs, fondatore di Apple, che è a tutti gli effetti uno dei
più fulgidi esempi viventi di resilienza umana. Come ha spiegato Jobs, senza
quell’”incidentale” corso di calligrafia non avrebbe mai creato più avanti i
caratteri che oggi usiamo tutti, bellissimi e funzionali, e che derivano dal
primo Machintosh. Senza la resilienza, Jobs si sarebbe forse piegato davanti
all’evidenza dei fallimenti universitari e all’apparente incapacità di trovare
un senso compiuto al proprio percorso di allora … come succede a molti.
Raccontando la sua interessante vicenda agli studenti del Reed College, Jobs
spiega la sua resilienza come la “capacità di unire i punti”, ovvero di mettere
insieme all’interno di un disegno compiuto tutte le esperienze esistenziali,
anche quelle più difficili o drammatiche e dice:
“
Se non avessi abbandonato gli studi, se non fossi incappato in quel corso di
calligrafia, i computer oggi non avrebbero quella splendida tipografia che ora
possiedono. Certamente
non era possibile all’epoca ‘unire i puntini’ e avere un quadro di cosa sarebbe
successo, ma tutto diventò molto chiaro guardandosi alle spalle dieci anni
dopo.
Non
potete sperare di unire i puntini guardando avanti, potete farlo solo
guardandovi alle spalle: dovete quindi avere fiducia che, nel futuro, i
puntini che ora vi appaiono senza senso possano in qualche modo unirsi nel
futuro. Dovete credere in qualcosa: il vostro ombelico, il vostro karma, la
vostra vita, il vostro destino, chiamatelo come volete … questo approccio
non mi ha mai lasciato a terra e ha fatto la differenza nella mia vita.”
Non
possiamo scegliere tutto e a volte ci capitano situazioni in cui ci sentiamo
imprigionati. La
resilienza, se attivata, è una risorsa miracolosa perché fa leva sull’unico
aspetto della realtà su cui possiamo acquisire molta libertà: il pensiero. Henry Ford diceva: “Non importa
che pensiate di saper fare o non saper fare qualcosa, comunque avete ragione”.
In questo senso, per stimolare la resilienza occorre selezionare i pensieri e
buttare via tutti quelli che non servono o che lasciano un problema immutato o
lo peggiorano.