by Enrico Maria Secci
In psicologia il termine resilienza indica la capacità dell’individuo di superare e di trarre forza da eventi stressanti e traumatici. E’ un’espressione della duttilità della psiche e del dinamismo della personalità che spiega come molti individui trasformino situazioni oggettivamente sfavorevoli in occasioni di cambiamento vantaggiose per la propria evoluzione verso la piena realizzazione di sé e la felicità. Il concetto di resilienza è mediato dalla scienza dei materiali, per la quale un materiale ad alta resilienza è un grado di adattarsi a pesanti sollecitazioni mantenendo la sua forma originaria. Analogamente, ci sono persone che rispetto a situazioni avverse dimostrano un’levata soglia di tolleranza alla frustrazione e adottano strategie per ricavarne un vantaggio e persone non resilienti o scarsamente resilienti che si lasciano schiacciare dalle difficoltà partendo dall’idea di non poter cambiare e irrigidendosi su sistemi di convinzioni negative che le atterrano nell’insoddisfazione o in forme più o meno gravi di disagio psicologico.
In psicologia il termine resilienza indica la capacità dell’individuo di superare e di trarre forza da eventi stressanti e traumatici. E’ un’espressione della duttilità della psiche e del dinamismo della personalità che spiega come molti individui trasformino situazioni oggettivamente sfavorevoli in occasioni di cambiamento vantaggiose per la propria evoluzione verso la piena realizzazione di sé e la felicità. Il concetto di resilienza è mediato dalla scienza dei materiali, per la quale un materiale ad alta resilienza è un grado di adattarsi a pesanti sollecitazioni mantenendo la sua forma originaria. Analogamente, ci sono persone che rispetto a situazioni avverse dimostrano un’levata soglia di tolleranza alla frustrazione e adottano strategie per ricavarne un vantaggio e persone non resilienti o scarsamente resilienti che si lasciano schiacciare dalle difficoltà partendo dall’idea di non poter cambiare e irrigidendosi su sistemi di convinzioni negative che le atterrano nell’insoddisfazione o in forme più o meno gravi di disagio psicologico.
La resilienza è associata alla
perseveranza, alla creatività, all’empatia e al pensiero positivo e si basa sul
presupposto che tutto serva. Tutto serve, tutto contiene un messaggio
prezioso, tutto rappresenta una possibilità evolutiva anche se nell’emergenza
della sofferenza è difficile individuarla. Gli individui resilienti si pongono
rispetto alla realtà in modo attivo: la inventano, la costruiscono, la adattano
a sé e, tra i molteplici significati degli eventi, selezionano sempre quello
più positivo.
La
resilienza non è una caratterista genetica, ma un’opportunità che tutti gli
esseri umani possono cogliere lavorando su l’unica variabile che possono
veramente controllare: il proprio pensiero. Il resiliente usa tutti i colori della tavolozza
del proprio cervello. Il non resiliente, si limita al grigio e al nero. E sono
entrambi nel “giusto”, ma i primi saranno persone serene ed equilibrate, i
secondi, alteri guardiani del proprio ergastolo mentale da loro stessi
inflitto.
Dagli
anni ’80, la resilienza è diventato un concetto-chiave nella psicoterapia, nel
coaching professionale e nella psicologia del lavoro: l’intervento psicologico,
a prescindere dal contesto che lo richiede, si configura sempre di più come un
insieme di strategie, di tattiche e di tecniche per apprendere, incoraggiare e
incrementare la resilienza umana. Per sviluppare questo straordinario stile di pensiero
occorre prima di tutto assumere
per quanto possibile un atteggiamento aperto e non giudicante rispetto a se
stessi, agli altri e al mondo. E’ il passo più difficile, dato che definizioni
rigide della realtà rappresentano per molti una barriera contro la sua
complessità e un tentativo di controllarla illusoriamente. Eliminare del tutto pregiudizi e
convinzioni limitanti è però utopistico: si può al limite diventarne
consapevoli e cercare di arricchire il proprio punto di vista di alternative
diverse da quelle offerte dall’abituale approccio alle cose, quello che
consideriamo spontaneo ma che è soltanto il frutto di una combinazione di
esperienze e di apprendimenti, a volte inconsci, non sempre funzionali. A cosa serve giudicarsi sbagliati,
tristi, sfortunati? A cosa serve pensare che un problema sia irrisolvibile? A
cosa serve piangere sul latte versato? Qual è l’utilità del pensare che il
mondo sia un luogo pieno di insidie? Si tratta di giudizi, di visioni della
realtà certamente vere, ma non più di altre di segno opposto che però aprono la
strada alla resilienza, alla soluzione strategica e creativa dei problemi e
alla costruzione di un equilibrio nuovo.
La
resilienza psicologica non è semplice “pensiero positivo”, consiste
nell’accompagnare il pensiero positivo all’azione con perseveranza, anche nelle
situazione più complicate. Si può definire resiliente chi apprende dalle
difficoltà senza la pretesa di risolvere subito i problemi e chi ha un’elevata
soglia di resistenza alle frustrazioni. Soggetti scarsamente resilienti, invece, sono
caratterizzati da un certo grado di rigidità e, una volta strutturatouno schema
della realtà, rifiutano di variarlo anche quando risulta impedire equilibrio e
realizzazione personale. Bassa resilienza è correlata ad elevati livelli di
conflittualità interpersonale e sofferenza psicologica, oltre che a scarsa
capacità di realizzare le proprie attitudini.
***Una
storia famosa sulla resilienza
Per
capire meglio cosa sia la resilienza, si pensi alla storia di un ragazzo molto
sfortunato:
figlio di una ragazza madre che lo dà in adozione viene costretto a frequentare
l’università prima ancora di aver compreso cosa volesse fare nella vita. Gli
studi, costosissimi, vanno a rotoli gettando quasi sul lastrico la sua famiglia.
Disorientato, ma perseverante, il ragazzo resta la Campus. Si arrangia
raccogliendo lattine nel parco in cambio di pochi dollari e dormendo ospite
nelle stanze dei colleghi e a volte per strada. Una situazione terribile. Nel
grigiore e nell’apatia per la vita universitaria, il ragazzo trovava la
bellezza soltanto nei manifesti e nelle scritte appesi nei corridoi provenienti
dal corso di calligrafia ospitato in quella Università. Così, sulla scia di un’intuizione, decide di frequentare le lezioni di calligrafia
e si appassia ai diversi tipi di carattere, all’arte di disegnarli, comporli e
separarli a mano così da ottenere sempre un risultato perfetto. Certo, quella
scelta non aveva nulla a che fare col suo ambito di studi, ma era la sola cosa
che sentisse di fare in quel momento confuso della sua esistenza.
Quel
ragazzo era Steve Jobs, fondatore di Apple, che è a tutti gli effetti uno dei
più fulgidi esempi viventi di resilienza umana. Come ha spiegato Jobs, senza
quell’”incidentale” corso di calligrafia non avrebbe mai creato più avanti i
caratteri che oggi usiamo tutti, bellissimi e funzionali, e che derivano dal
primo Machintosh. Senza la resilienza, Jobs si sarebbe forse piegato davanti
all’evidenza dei fallimenti universitari e all’apparente incapacità di trovare
un senso compiuto al proprio percorso di allora … come succede a molti.
Raccontando la sua interessante vicenda agli studenti del Reed College, Jobs
spiega la sua resilienza come la “capacità di unire i punti”, ovvero di mettere
insieme all’interno di un disegno compiuto tutte le esperienze esistenziali,
anche quelle più difficili o drammatiche e dice:
Non
potete sperare di unire i puntini guardando avanti, potete farlo solo
guardandovi alle spalle: dovete quindi avere fiducia che, nel futuro, i
puntini che ora vi appaiono senza senso possano in qualche modo unirsi nel
futuro. Dovete credere in qualcosa: il vostro ombelico, il vostro karma, la
vostra vita, il vostro destino, chiamatelo come volete … questo approccio
non mi ha mai lasciato a terra e ha fatto la differenza nella mia vita.”
Non
possiamo scegliere tutto e a volte ci capitano situazioni in cui ci sentiamo
imprigionati. La
resilienza, se attivata, è una risorsa miracolosa perché fa leva sull’unico
aspetto della realtà su cui possiamo acquisire molta libertà: il pensiero. Henry Ford diceva: “Non importa
che pensiate di saper fare o non saper fare qualcosa, comunque avete ragione”.
In questo senso, per stimolare la resilienza occorre selezionare i pensieri e
buttare via tutti quelli che non servono o che lasciano un problema immutato o
lo peggiorano.
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