Qualche tempo fa per una strana casualità della vita mi ritrovai su un divano oscuro, che la diritta via era smarrita…
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura, ma forse sto andando nella direzione sbagliata quindi… torniamo alla strana casualità.
Il telecomando, animatosi di vita
propria, fece partire un film che non avevo mai sentito nominare, ma il
cui titolo mi incuriosì parecchio: “Carissima Me”.
Di che parlava questo film?
Eccoti qui, para para la wikipediata relativa:
Margaret (Sophie Marceau) è una donna in carriera dal pugno di ferro.
Ma il giorno del suo quarantesimo
compleanno, un notaio di una piccola provincia le invia delle vecchie
lettere che si era spedita quando aveva sette anni: una corrispondenza
che aveva scritto da sola “nell’età della ragione”.
Rileggendole una a una, si immerge
in ricordi nascosti, situazioni dimenticate, i primi amori, giochi e
ambizioni che fanno vacillare tutte le sue certezze e rimettono in
questione la sua vita.
Perché da adulta è diventata il contrario di quello che desiderava da bambina…
E’ un film che non ha mai vinto
alcun Oscar né premi della critica (forse perché… è divertente?) ma
nonostante non possa certo vantare illustri parentele con Lanterne Rosse
o I Segreti di Brokeback Mountain, lo considero uno di quei film “da
vedere”.
Pensa un po’… arrivi a quarant’anni –
anno più, anno meno – e cominci a ricevere delle lettere dal te stesso
“piccolo” e… improvvisamente ti ritrovi a fare i conti con le differenze presenti nella tua vita.
Le differenze fra la tua vita di oggi e
- Quello che sognavi
- Quello in cui credevi
- Quello che per te era realmente importante
Insomma, una bella sfida, non credi?
Certo, qualcuno potrebbe dire: “Grazie… io da piccolo credevo persino a Babbo Natale”.
A questo punto potrei chiederti se eri
più felice ieri, quando credevi a Babbo Natale, oppure oggi che sai con
certezza che non esiste nessun vecchio con la barba bianca (a parte
Capitan Findus) ma che esistono le code in tangenziale la mattina, i
controllori sul pullman quando non hai il biglietto, i professori che ti
fanno l’unica domanda a cui non sai rispondere, l’ultimo iPhone venduto
a quello entrato un secondo prima di te, le persone che non rispettano
la fila alle Poste, i treni in ritardo ma… saltiamo questo passaggio.
Ricordo alcune delle cose che per me erano importanti, quando ero piccino.
Ricordo una parentesi sportiva da “sarò il più grande portiere del mondo“.
Sognavo che sarei diventato una specie
di superman con i guantoni, capace di volare da una parte all’altra dei
pali, senza mai prendere un goal nella vita. Acclamato dalle folle, con
una divisa a metà fra un wrestler japponese ed uno dei Rockets,
mi sarei ritirato imbattuto a 81 anni suonati e solo perché me lo
avrebbero chiesto in ginocchio i giocatori delle altre squadre.
Puntavo un po’ troppo alto? Forse. Ma mi piaceva tanto e poi… che senso ha un sogno terraterra?
Un sogno comunque presto infranto, nel
vero senso della parola, contro due denti “volati” via. Improvvisamente
la maglia numero 1 perse tutto il suo fascino… e mi innamorai della
briscola.
Ricordo poi un discorso tecnologico
fatto a mia nonna in cui le promettevo che sarei diventato uno
scienziato in grado di curare qualunque malattia, e che quando lei
sarebbe morta – perché, nonna… diciamoci la verità, prima o poi toccherà
anche a te… – io avrei trovato il modo di resuscitarla. Possibilmente
meglio che in The Walking Dead.
Avevo 8-9 anni ma ricordo distintamente che lei fece un gesto strano. Come di grattarsi “qualcosa”…
Da piccolo ero un timidone. Infatti
attaccavo bottone soltanto con chiunque mi guardasse per più di un
nanosecondo. E potevo intrattenere una persona per ore, se mi si dava
l’occasione. E se nessuno chiamava i Carabinieri per farmi riportare a
casa…
Mi piaceva l’idea del comunicare.
Oddio non che fosse realmente
comunicazione, se non a senso unico. Io mi occupavo soltanto di parlare.
Ascoltare non faceva parte dei miei bisogni primari, diciamo. Forse
perché gli altri erano talmente “lenti” da non riuscire ad inserirsi
nelle mie micropause.
Fortuna che poi, praticando l’apnea,
imparai a trattenere il respiro anche per 20-25 secondi, di fila!!!
Diventò presto più semplice comunicare con me.
Ricordo che per me era importante
disegnare, colorare, ritagliare, che andavo matto per le costruzioni, e
che con i lego facevo cose che un ingegnere farebbe fatica a riprodurre.
Forse perché un ingegnere non gioca con le costruzioni. O meglio, come
direbbe il mio amico ingegnere:
“Un ingegnere non gioca. Produce. Da quando è nato.“
Ho scoperto solo da poco che la potente Setta degli Ingegneri Estinti ha un motto quasi militare:
“Una volta dei nostri, sempre dei nostri. Ingegnere tutta la vita!” (Ciao Meme questa è per te :lol:)
Ecco il mio amico Dott.Ing. a 7 anni |
Ricordo poi ore ed ore passate a sognare sui libri e sui fumetti, costruendo mondi fantastici in cui Don Abbondio viveva con Nonna Papera come domestica, l’Uomo Ragno ed Hulk gestivano un ristorante poco fuori Porta Romana -
e voglio vedere chi ha il coraggio di dire che il pesce non è
particolarmente fresco – Batman e Robin potevano fare tranquillamente
“coming out” perché tanto qui siamo tutti per le libertà (già da
piccolino questi due non me la raccontavano giusta…) Sandokan
faceva il controllore sugli autobus – e nessuno si sognava di non
pagare il biglietto – Dante era guida turistica per il Touring Club e
via di questo passo.
Ovviamente io ero il Sindaco di questo improbabile luogo di allegria et divertimento in cui persino il Dolce Remì si sarebbe fatto quattro risate.
Ma poi, crescendo un po’, ho notato che
non erano in molti, a parte me, a voler vivere in un luogo di questo
tipo. Forse non era ancora il tempo per la fantasia al potere.
Anche perché, diciamoci la verità, lo sanno tutti che Remì porta sfiga ehm…
è un povero orfanello che, nella sua allegra vita, ha visto perire di
peste bubbonica chiunque gli abbia anche solo appoggiato una mano sulla
spalla.
Da piccolo per me era importante poter
fantasticare, poter inventare, potermi divertire in ogni modo possibile.
Probabilmente come per il 99% dei bambini. Ovviamente l’1% che rimane è
rappresentato dai bimbi ingegneri.
Poi sono cresciuto…
E sono riuscito a mantenere
questo mio lato “piccolo” abbastanza “grande” da riuscire a passare in
mezzo al processo per cui molti adulti dimenticano improvvisamente di
esser stati a loro volta bambini.
Sarà forse per questo che vado moltisssssimo d’accordo con i pargoli.
Forse riescono a sentire, ad un qualche livello, che pur essendo un adulto, faccio comunque ancora parte del loro Club Privato.
Il Club del Fantastico.
Se incontrassi oggi il mio “piccolo me”
di un tempo, sarebbe felice della mia decisione di mantenere presenti
nella mia vita questi valori per lui così importanti.
Oggi qualunque cosa io faccia, in qualunque cosa mi impegni, qualunque cosa voglia creare, devo potermi divertire per sentire un senso di pienezza nella mia vita.
Poi curiosamente, mi occupo di qualcosa – il coaching – in cui la comunicazione è fondamentale, e… indovina? Mi diverto.
E ascolto, più che parlare.
Senza nemmeno andare in apnea.
Quando si dice “i casi strani della vita“…
E adesso togliTI una curiosità:
Se tu ricevessi una lettera dal te stesso di 7 anni, cosa ti direbbe?
http://www.effettopanda.com/il-pandastorie/cosa-direbbe-il-te-stesso-di-7-anni
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