I “Guerrieri dell’Arcobaleno”
di Enzo Braschi
Mentre la Terra muore al vecchio… sta nascendo… una nuova
tribù di tutti i colori. Questa tribù si chiama “I Guerrieri dell’Arcobaleno” e
mette la sua fede nelle azioni, non nelle parole. (Profezia dei Nativi Americani
Hopi).
Non so quanti di noi
siano Guerrieri dell’Arcobaleno. So comunque che ce ne sono già tanti in ogni
luogo della Terra e che il loro numero sta crescendo sempre di più.
Volerlo essere è facile: basta
amare e rispettare la Creazione. Volerlo essere è difficile: si deve infatti
prima di tutto imparare a disimparare molto del tanto che ci è stato insegnato
e che ci ha allontanati dalla Creazione stessa.
Ci può volere davvero tanto tempo, costanza, amore e pazienza
soprattutto verso noi stessi, che diventiamo i bambini a cui dobbiamo insegnare
tutto da capo.
Spesso sbaglieremo ancora, spesso riterremo di essere sulla strada buona e ci
accorgeremo un attimo dopo di essere ancora una volta vittime di antichi
pregiudizi, stupidi luoghi comuni, modi di pensare che non ci appartengono.
Le
vecchie abitudini torneranno ad avere il sopravvento: è facile non poter fare a
meno, alla fine, del nostro persecutore; è difficile lasciarsi andare alle
passioni laddove esse servano a condurci solo ad innamorarci della perfezione.
Se ci si lascerà piegare come una pianta di bambù ma si saprà
resistere, se non ci si schianterà come una quercia che con arroganza pensa di
essere incrollabile, si sarà già percorso un buon tratto di strada.
A quel punto si potrà continuare a voler essere un Guerriero
dell’Arcobaleno. Si sarà ancora vulnerabili ma incredibilmente più forti che in
passato, penseremo. E invece sarà anche più duro di com’era prima di imbarcarsi in
quest’impresa. Perché ci si sentirà
soli… ed è terribile scoprire di essere soli in mezzo a una
miriade di esseri umani uguali a noi.
Si avranno da dire e da fare tante cose e ci si accorgerà di non
trovare orecchie disposte ad ascoltare, e non si saprà da dove cominciare per cambiare
davvero le cose. Credo inoltre che nessuno dovrebbe mai assumersi il ruolo di
“insegnante” di nessun altro. Pensare di essere un maestro ritengo sia peccato
molto grave. Con tutta la buona fede che si può avere, pare presuntuoso
assumersi tale compito.
Sarebbe
oltremodo giusto che ognuno arrivasse a costruirsi il suo mondo con le sue
stesse mani. Ma non sempre è così, o quantomeno, a volte sembra opportuno il
voler tentare di accorciare le distanze, soprattutto quando si avverte che i
tempi lo esigono.
Così
si deve provare a condividere con gli
altri quello che si sente, che si sa, che si ritiene buono, e aspettare con
pazienza di vedere germogliare i nostri semi, sempre che i semi
siano quelli di una buona pianta. Può funzionare, così come può risultare
sforzo vano, sciocco e inutile.
Si sarà dunque soli, si sarà perduta la vecchia strada fatta di vuote
certezze, ma pur sempre la strada che la maggioranza della gente percorre da
sempre; si sarà sbigottiti, confusi, così confusi dal giungere alla conclusione
di avere sbagliato a lasciar andare tutto per… per cosa poi? Per niente…
Quello sarà davvero il momento più cattivo: il baratro che ci si
aprirà dinanzi e alle spalle. Ci si scoprirà in bilico su un sostegno fragilissimo: in
qualunque direzione ci si volterà non
si vedrà altro che una spessa coltre di nebbia. Sotto di noi
sarà il precipizio nel quale si potrebbe scivolare senza mai arrivare a toccare
il fondo. Sopra, di contro, sarà l’assenza di una voce, di un segno che ci
indichi che cosa fare.
Si dovrà andare avanti. Letteralmente. Basterà trovare appena quel
poco di coraggio necessario ad allungare un piede sul niente e camminare: prima
un piede, poi l’altro, e poi un altro ancora…
Quello che ci era parso il vuoto più opprimente ci sosterrà, essendo
ciò che facciamo il più solido dei fondamenti. Potremmo sentirci forse ancora
soli, voltare le spalle e vedere le cose a noi familiari sfumare a poco a poco, insieme alla moltitudine delle
facce di chi ci è stato compagno di viaggio per tutto quel tempo che non
tornerà mai più; sentire freddo,
provare terrore per la buia oscurità che ci si parerà dinanzi e
che dovremo attraversare.
A quel punto del nostro percorso, però, si accenderà una luce; la
strada si farà più ampia e sicura e voltandoci un’ultima volta vedremo altri
seguirci…
non perché presuntuosamente noi saremo stati loro d’esempio. D’esempio lo si
deve essere prima di tutto per noi stessi. Semplicemente perché altri cominceranno a non avere più paura, o
saranno affascinati dalla paura o con essa intenderanno cimentarsi.
Non è importante capire perché a volte si facciano certe cose. È
importante comprendere quando è tempo di farle. E questo è il tempo… e bisogna
avere fretta di farle, queste cose, se non si vuole rimanere per sempre
indietro.
Articolo di Enzo Braschi
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