di Chiara Svegliado
Che cos’è la timidezza?
E’ quasi impossibile definirla. Innanzi tutto perché un timido è un insieme di
elementi molto complessi, inoltre perché esistono diverse tipologie di timidezza. In linea generale si possono distinguere: i timidi propriamente detti, la cui timidezza costituisce un aspetto permanente del carattere; i timidi temporanei che soffrono di crisi periodiche di timidezza, generata da circostanze diverse; i grandi timidi o “sociofobi”, che soffrono di una forma di timidezza estrema, tale da annullarne totalmente o quasi la personalità e gli atti personali.
E’ necessario distinguere le circostanze che provocano la timidezza: una persona può essere ad esempio particolarmente timida nei confronti dell’altro sesso o dell’autorità. Nel caso sia l’autorità ad intimidire, è necessario approfondire sotto quale forma essa si presenta: religiosa, sociale o artistica; oppure, l’autorità può essere rappresentata da una persona che ricopre un determinato ruolo nel contesto relazionale a cui appartiene il timido (il padre, il capoufficio, l’insegnante, ecc..).
E’ necessario distinguere le circostanze che provocano la timidezza: una persona può essere ad esempio particolarmente timida nei confronti dell’altro sesso o dell’autorità. Nel caso sia l’autorità ad intimidire, è necessario approfondire sotto quale forma essa si presenta: religiosa, sociale o artistica; oppure, l’autorità può essere rappresentata da una persona che ricopre un determinato ruolo nel contesto relazionale a cui appartiene il timido (il padre, il capoufficio, l’insegnante, ecc..).
Per esempio,
molte persone sono timide di fronte ad un’uniforme (soprattutto quella
di un poliziotto). La ragione risiede nel fatto che in questo caso,
l’uniforme rappresenta una barriera, un’impossibilità a discutere e a
farsi comprendere. Di fronte all’individuo che indossa un’ uniforme,
l’interlocutore timido prova un senso di impotenza e di frustrazione. Le
reazioni che ne derivano possono essere quindi di svariata natura e
sono comunque da leggersi tutte come forme di compensazione: di umiltà,
scortesia, grossolanità, aggressività.
La stessa forma
di timidezza contraddistingue alcune persone brillanti nel momento in
cui debbano relazionarsi con persone poco intelligenti. Questo avviene
perché la stupidità, per una persona intelligente, rappresenta anch’essa
una barriera, un muro, in quanto rappresenta l’impossibilità a
comunicare. Impossibilità, per la persona intelligente, di parlare lo
stesso linguaggio di chi gli sta di fronte e quindi di farsi capire. La
persona intelligente e timida nutre inconsciamente il timore di provare
dei sentimenti di umiliazione e di frustrazione senza alcuna possibilità
di rivalsa.
E’ evidente dunque che alla base della timidezza c’è sempre un sentimento di frustrazione e di inferiorità nel relazionarsi con gli altri.
Essa è come un
tronco sul quale possono innestarsi innumerevoli rami: molto spesso
questo disagio nasconde un senso di colpa, un’autopunizione o
un’omosessualità (latente o reale).
Mentre è
difficile che un timido si senta a disagio standosene a casa da solo, il
problema insorge quando si trova in presenza di altri, oppure, alla
sola idea di un possibile contatto. In questo caso, tre sono
fondamentalmente i rischi ai quali egli si sente esposto e che possono
tradursi nel: 1) timore di non riuscire a controllare l’intensità del
proprio disagio nei diversi contesti sociali; 2) timore di non
controllare i segni visibili e fisiologici del suo disagio (rossore,
difficoltà di espressione e così via..); 3) timore di essere respinto,
come naturale conseguenza del suo sentirsi a disagio.
Le manifestazioni della timidezza
Nel momento in cui è colpito da una crisi, diverse sono le manifestazioni fisiologicheche
caratterizzano il timido: disturbi della secrezione (traspirazione,
soprattutto delle estremità, mancanza di saliva; deglutizione anormale);
dilatazione dei vasi periferici: il rossore al viso; costrizione dei
vasi periferici: il pallore del volto; disturbi della parola e della
respirazione: contrazioni del torace, corde vocali rigide che implicano
parola strozzata, respiro corto, balbuzie, respirazione aritmica,
cambiamento di voce che talvolta è molto bassa ed incomprensibile;
rigidezza muscolare: incapacità di coordinare volontariamente i
movimenti, esitazione, movimenti involontari, facilità ad inciampare, a
rompere oggetti, mancanza di equilibrio; tremolio alle dita; contrazioni
cardiache: sensazioni che il cuore stia per cedere; spossamento,
sudore, stato di passività una volta terminata la crisi di timidezza.
Alla base di queste manifestazioni fisiologiche, vi sono delle manifestazioni psicologiche che
sono le più numerose e che accomunano tutte le diverse forme di
timidezza: innanzitutto si restringe in modo considerevole la capacità
di osservazione e il campo della coscienza. Una cosa soltanto infatti
colpisce il timido: la circostanza che lo intimidisce. Al di fuori di
questo egli non sente niente, non vede niente e non osserva niente; ne è
un esempio il conferenziere che, dopo la conferenza, ignora di aver
saltato alcuni pezzi del suo testo.
Di conseguenza,
diventando impossibile una reazione immediata, il timido si sente
completamente paralizzato, e come se fosse all’improvviso privo di
intelligenza, reagisce in un modo assurdo ed impacciato. Molto spesso
infatti una persona intelligente e timida, può apparire stupida. Al
contrario, la circostanza che ha generato la timidezza è osservata con
implacabile acutezza. Nel cervello dei timidi si fissano i più minimi
dettagli, le piccole impressioni; ed è solo su questo materiale che il
pensiero torna senza sosta a rimuginare.
La paura può
essere avvertita come un’oppressione interna spaventosa insieme alla
sensazione di soffocare e può anche essere seguita da intontimento e da
inerzia; si fa forte il desiderio di fuga e il tentativo di respingerlo
non fa che aumentare la paura. Qualsiasi attività di ritirata viene così
esclusa e il timido prova dentro di sé la paura di un animale in
gabbia.
Questa
sofferenza può essere generata anche alla sola idea di dover affrontare
una situazione che si conosce e che si considera pericolosa, come ad
esempio il rifiuto di partecipare ad una riunione, ad un pranzo, o ad un
appuntamento: il rifiuto anticipato di tali situazioni fa spesso
scatenare nei timidi dei malesseri fisici, come per esempio falsi
raffreddori per vasodilatazione, mal di stomaco per contrazioni, male al
cuore per contrazioni cardiache.
Esistono inoltre le cosiddette forme di timidezza localizzata,
legate per lo più all’aspetto fisico: quante volte ci è capitato di
sentire frasi come queste:” sono diventato timido perché troppo grasso,
perché ho i capelli rossi, perché ho il naso grosso”.
In tutti questi
esempi, le cause della timidezza sono rivelate dalle stesse persone,
inconsapevoli tuttavia del fatto che non sono delle vere cause. Spesso
infatti si cerca inconsciamente di ricondurre l’origine della propria
timidezza a qualcosa che crediamo sia una discriminante nel momento in
cui dobbiamo farci accettare dagli altri. Queste persone dunque, sebbene
siano veramente timide, cercano di attribuire ad un proprio difetto la
responsabilità della loro timidezza, allo scopo di giustificarla. La
timidezza di base tuttavia, va ricercata in altre direzioni.
Tipologie di timidezza
All’Ospedale Sainte – Anne, a Parigi, psichiatri e psicologi clinici hanno censito cinque grandi classi di timidezza, che si manifestano in relazione alle situazioni più temute. Le due più frequenti sono la timidezza di azione e la timidezza di prestazione:
- Timidezza d’azione: è la paura di disturbare l’altro. I timidi di azione non vorrebbero contraddire gli altri per nessun motivo; non vorrebbero mai trovarsi a dover prendere un’iniziativa che potrebbe metterli a rischio di tradire un disaccordo da parte loro. A proprio agio in pubblico, non si oppongono mai. Rifuggono le discussioni, evitano di porre domande precise durante le conversazioni. La loro paura del conflitto riflette il timore di essere poco stimati.
- Timidezza di prestazione: è l’impressione ossessiva e paralizzante che gli altri siano lì per giudicarci. L’esposizione di fronte ad una classe, la lettura di un testo durante un matrimonio sono situazioni che mettono alla prova. Questa forma di timidezza inizia a manifestarsi sui banchi di scuola, con la paura di fare domande in classe. Timidezza del quotidiano: gli incontri con un vicino, o il semplice fatto di andare al lavoro e di chiacchierare con i colleghi possono essere un supplizio. I timidi del quotidiano temono sguardi, silenzi, situazioni di stasi cui sembra aprirsi un baratro tra loro e l’interlocutore. Il massimo del disagio consiste nel percorrere un tragitto in automobile con una persona che non si conosce molto bene. Senso di paralisi, sudorazione e tensione interna riflettono questa paura di non “saper fare conversazione”.
- Timidezza della rivelazione di sé: in questo caso la paura riguarda il territorio del personale. I timidi della “rivelazione di sé” sono a proprio agio con le conversazioni quotidiane, ma si bloccano quando si sfiora la loro vita personale. Li si conosce da anni, e ci si rende conto tutto d’un tratto di non sapere nulla di loro.
- Timidezza di visibilità: questa timidezza corrisponde all’angoscia di trovarsi a incrociare sguardi. Il timido di visibilità detesta, per esempio, passare davanti ad un caffè all’aperto con le persone sedute ai tavoli.
La sociofobia
Una forma estrema di timidezza è la sociofobia: appartengono a questa categoria le persone angosciate di ritrovarsi in mezzo alla gente.
Generalmente i
timidi appartenenti a questa categoria soffrono in silenzio, paralizzati
dalla paura degli altri e dall’immagine che potrebbero dare di sé.
Questi individui, chiamati anche sociofobi, sono circa il 5% della
popolazione, per la maggioranza donne. Pur essendo stata sottovalutata
per molti anni, oggi questa condizione, visto l’elevato grado di
penalizzazione e diffusione, viene riconosciuta dalla psichiatria come
una vera e propria malattia.
Si parla di
fobia sociale quando una persona ha paura di affrontare lo sguardo
altrui ed è colta dall’ansia prima di qualsiasi contatto con estranei;
durante l’incontro si angoscia a tal punto da giungere al panico estremo
e si sente, alla fine del confronto, umiliata e piena di vergogna.
I sociofobi
temono infatti qualsiasi incontro: con un vicino, un negoziante o un
collega, a prescindere dal fatto che abbiano a che fare con più persone o
con un solo interlocutore. Sebbene il prendere la parola ad una
riunione sia la situazione più temuta, essi hanno tuttavia anche paura
di essere osservati nelle situazioni più comuni: mentre mangiano, mentre
camminano per strada o scrivono. Hanno la sensazione di essere sempre
al centro dell’attenzione anche se razionalmente riconoscono che non è
sempre così e si sentono privi di ogni protezione di fronte agli altri.
Il sociofobo si sente sempre giudicato negativamente dagli altri in
qualsiasi situazione e questi giudizi negativi riflettono la visione che
egli ha in realtà di se stesso.
Questa
autosvalutazione può essere focalizzata su un generale senso di
inferiorità o sulla paura di rivelare la propria emotività.
La paura aumenta
quanto più si evitano le situazioni che sono causa di ansia. Come in
tutte le fobie evitare le circostanze temute fa aumentare il timore di
trovarcisi, instaurando un circolo vizioso da cui si ha difficoltà ad
uscire.
E’ impossibile, o
quasi, tenersi lontani da tutte le situazioni sociali ma i sociofobi
cercano in tutti i modi di sottrarsi alle occasioni di contatto,
scegliendo professioni in cui i rapporti con gli altri sono ridotti al
minimo e inventando pretesti per non essere coinvolti in attività di
gruppo.
Quando si
trovano in presenza di estranei non rivolgono loro la parola e cercano
in tutti i modi di non incrociarne lo sguardo. Di loro si pensa spesso
che siano freddi, eccentrici, alteri, ma in realtà vorrebbero avere
amici e vivere come tutti gli altri. I sociofobi non sono misantropi o
timorosi dell’aggressività e della cattiveria altrui, non pensano male
degli altri ma solo di se stessi.
L’inizio di
questo disturbo risale spesso all’infanzia o all’adolescenza. Una volta
apparsa la fobia sociale può durare per anni, talvolta anche per tutta
la vita. Fin dall’infanzia si sentono inibiti ed è difficile dire se la
loro fobia sia scaturita dall’inibizione o viceversa. In età adulta
hanno tendenze ansiose generalizzate e sono spesso demotivati, privi di
autostima e demoralizzati, sintomi che ricalcano quelli della
depressione.
Alcuni hanno
avuto genitori a loro volta timidi e introversi, perciò sono cresciuti
in assenza di modelli di socializzazione sufficienti. Altri hanno
sofferto di atteggiamenti svalutativi da parte di uno o di entrambi i
genitori, con critiche e derisioni continue, per esempio da parte di un
padre autoritario che aveva scelto uno dei figli come capro espiatorio o
che riponeva in lui aspettative smisurate.
Alcuni, al
contrario, sono stati bambini troppo protetti da parte dei genitori,
convinti di agire nel loro bene; altri bambini si sono sentiti
scoraggiati da un clima troppo adulto, nel quale la loro emotività non
poteva esprimersi liberamente e altri ancora sono stati bambini
frustrati o per mancanza di affetto o per mancanza di comprensione; ci
sono poi quelli che sono stati dominati e soffocati da uno dei genitori
ed infine quelli che hanno avuto un padre che, reputandosi molto
intelligente, glielo faceva sempre notare.
In conseguenza
di tutto ciò si verifica, in età adulta, la permanenza di una visione
dicotomica di sé e degli altri: o si è perfetti e geniali (gli altri) o
non si è nulla (se stessi). Di conseguenza, nel relazionarsi con gli
altri, un tratto comune è il timore di sentirsi rifiutati.
Il counselling e la timidezza
Attraverso il counselling si arriva a modificare progressivamente i comportamenti e i modi di pensare che scatenano la sofferenza. Il lavoro cognitivo consiste nel fare comprendere al cliente che certe sue convinzioni e certi suoi modi di vedere il mondo e se stesso deformano la realtà procurandogli emozioni dolorose.
Il percorso di liberazione dal disagio consiste dunque nel praticare una“ristrutturazione cognitiva”,
consistente in un’accurata analisi delle distorsioni della realtà e
delle convinzioni errate che contraddistinguono il cliente nel
quotidiano, al fine di raddrizzarle progressivamente. Il cliente è
guidato nell’analisi del suo dialogo interiore, dei frammenti di
pensiero che lo assalgono: si tratta spesso di pensieri automatici,
ragionamenti orientati costantemente verso la propria svalorizzazione.
Generalmente,
quando si analizza un’esperienza sociale vissuta dal cliente, il suo
riflesso abituale è quello di fissarsi solo sulla sensazione di ansia o
di imbarazzo provata, invece che sugli elementi positivi
dell’esperienza. Costringendosi ad analizzare tutti gli aspetti positivi
e negativi delle situazioni incontrate, egli può così rimettere in
questione le proprie convinzioni. E’ così possibile che queste modifiche
prendano campo nella memoria a lungo termine, facilitando pensieri più
elastici e un migliore controllo delle emozioni.
Come abbiamo
detto, gli evitamenti permettono di sfuggire alle situazioni
angoscianti, ma mantengono il cliente nella falsa idea che queste
situazioni non possono essere affrontate. Gli si insegna allora ad
esporsi a livelli d’ansia crescenti, creando situazioni via via più
ansiogene. Appositi giochi di ruolo consentono di acquisire nuove
tecniche di affermazioni di sé. I clienti constatano che la loro
angoscia non è sempre percepita dagli altri e che ciò non ha conseguenze
a lungo termine. Si tratta di un lavoro didesensibilizzazione graduale che
probabilmente produce effetti nella memoria emotiva: l’approccio al
cambiamento del pensiero negativo è lento ed ha una distanza tale che la
mente ha tutto il tempo necessario per abituarsi gradualmente ad
associare, alla situazione che incute timore, una reazione emotiva più
rilassata.
Il vecchio schema negativo viene in questo modo sostituito con una nuova reazione positiva.
Grazie agli
effetti congiunti di questi metodi cognitivi e comportamentali, i
progressi a volte sono spettacolari soprattutto quando i clienti
acquistano padronanza della tecnica e possono modificare la propria
visione del mondo. Gli esercizi di esposizione devono essere ripetuti
spesso e a lungo nella vita reale, dato che i vecchi riflessi
condizionati e le percezioni negative radicate nel corso di anni non si
lasciano scacciare facilmente.
Fonte: http://www.chiarasvegliado.it/la-timidezza/
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