SE GLI ADULTI
osservassero i bambini di quattro anni vedrebbero il capolavoro che sono
stati e che questa società da sempre ha profanato e sta profanando. Se
ognuno potesse crescere ascoltando le istruzioni del proprio seme, della
propria interiorità, le strade sarebbero piene di capolavori ambulanti e
ognuno avrebbe una sua personale visione del mondo e il mondo sarebbe
pieno di infinite interpretazioni e questo sarebbe commovente....
Avviene
quotidianamente un vero e proprio genocidio non tanto dei corpi quanto
delle personalità di milioni, anzi miliardi di uomini, tenuti lontani da
se stessi e dalla loro creatività e dal proprio vero destino, assediati
come sono da falsi problemi, false culture, false superstizioni, false
credenze, falsi progetti, false promesse. Prendiamo ad esempio l’istituzione scolastica. Avverto
subito che alcune delle riflessioni che andrò formulando richiedono,
per essere giustamente comprese e assimilate, un ascolto specifico,
affettuoso e definitivo. Partiamo dunque, come premessa, dalla semplice
constatazione che elementi naturali, indispensabili all’uomo per vivere
possono, in diversa dose, provocare gravi danni o addirittura la morte. L’acqua, per esempio, l’essere umano lo disseta ma in dose eccessiva lo affoga. Il
fuoco lo scalda ma lo può anche bruciare; il cibo lo nutre, ma lo può
soffocare. L’apparato percettivo sensoriale e cerebrale è capace di
miracolose estensioni – alcune delle quali sono a tutt’oggi inesplorate –
ma un tale miracoloso apparato si guasta se gli stimoli percettivi sono
sempre gli stessi, se le azioni compiute sono eccessivamente
ripetitive, come accade nell’ambito lavorativo o scolastico..
Scuole moderne, antichi campi di sterminio
Accade pertanto che
istituzioni nate per soccorrere l’uomo finiscano per danneggiarlo o
addirittura sopprimerlo, o che l’infinito piacere di imparare venga
sostituito dalla pratica poco amata dello “studiare”. Imparare
è pratica naturale di evoluzione e crescita della personalità e procura
emozioni delicate e favorevoli, a volte perfino ineffabili. “Studiare”,
ovvero inserire di forza nel proprio apparato percettivo una serie di
concetti e nozioni non chiamate dal desiderio, si rivela invece a lungo
andare una pratica perversa, capace solo di annullare qualsiasi reale
desiderio di conoscere. Ma
l’imparare nasce dalla brezza del desiderio e offre una risposta
voluta, accolta con gioia e con la partecipazione attiva di tutta la
personalità. “Studiare”
per contro “costringe” una mente spesso riluttante, spesso estraniata,
ad applicarsi a nozioni e dati che non suscitano il minimo interesse e
che quasi sempre sono lontani dalle reali necessità della persona. Per
questo le scuole di ogni ordine e grado, pubbliche o private,
tradizionali e sperimentali, a un attento esame delle loro strutture
operative rivelano inquietanti analogie con gli istituti di pena e a
volte perfino con i campi di sterminio. La
scritta “il lavoro rende l’uomo libero” di sinistra concezione nazista,
posta all’ingresso dei campi annunciati all’inizio come “campi di
rieducazione” e divenuti ben presto campi di sterminio, potrebbe dunque
trovare un perfetto analogo nella frase “lo studio rende l’uomo
libero”. Lo
studio, nato così per promuovere ed estendere la creatività è divenuto
ben presto uno strumento capace di estirpare qualsiasi creatività e
demolire ogni desiderio naturale di apprendere. Imparare,
apprendere, ampliare le proprie conoscenze del mondo si rivela come uno
dei massimi piaceri che la Natura offre, mentre “studiare” è ormai
divenuto un tormento permanente. Cercherò di esemplificare una
distinzione fondamentale tra i due procedimenti..
Studiare forzatamente, ossia nutrirsi nel modo peggiore possibile
Imparare
corrisponde grosso modo al piacere di nutrirsi: magari scegliendo i cibi
a seconda dei propri desideri, che poi assai spesso corrispondono alle
necessità dell’organismo. Studiare
invece corrisponde a un “trattamento sanitario obbligatorio” come se
qualcuno lo programmasse così: ore 8 pane, ore 9 pasta, ore 10 carne,
ore 11 verdure, ore 12 frutta. E così ogni giorno e, di fronte a
tentativi legittimi di disperazione o di ribellione della vittima di
turno, l’”ingozzatore” non senza innocente cinismo enunciasse la sua
verità: “Guarda che se non ti nutri muori”. Un’evidente analogia accade nel nutrire spietata osservanza “dei programmi”. Sì,
i ragazzi a scuola si annoiano, fingono di ascoltare, sono sempre meno
capaci di esprimere una loro visione del mondo, ma “il programma è stato
rispettato e ultimato”. Pian piano si è praticamente estinto ogni
naturale desiderio di sapere, e smarrito per sempre il piacere di
“conoscere”..
La tragedia delle ciliege triangolari
Il fatto è che
l’essere umano intorno ai cinque anni di età si presenta come la
miniatura di un universo perfetto: chiede il perché di tutto, tocca
tutto, si offre a tutti, esplora incessantemente il mondo che lo
circonda, si muove senza sosta, gioca, canta, si difende, si dispera
fino a ottenere ciò che vuole e i suoi stessi comportamenti sono
un’arte, in quanto coincidono perfettamente con ciò che sente e prova e
afferma e nega. Poi
questo capolavoro vivente (qualsiasi sia la sua origine) approda nello
spazio scolastico e viene immediatamente sottoposto a secche
restrizioni: lo obbligano a star seduto, non può esprimersi o
intervenire se non quando “tocca a lui” e, quando chino sul foglio si
abbandona con gioia alla propria creatività e disegna ciuffi di ciliegie
di forma triangolare di un delicato color rosa, implacabilmente “la
maestra” fa notare che: “No piccolo mio, stai più attento, le ciliege
non sono triangolari, sono rotonde.” La grande mano della maestra
imprigiona la manina smarrita e la obbliga a correggere i triangoli in
altrettanti cerchi. “Così… così… E poi non sono rosa, sono rosse. Le
ciliege sono rosse!” E da quell’istante ha inizio il percorso della
sfiducia in se stessi, indispensabile per sottomettere un essere umano e
fargli credere sia ineluttabile negare a se stesso il tempo del gioco e
della vita..
Abbastanza maturi da sottomettersi per tutta la vita
Quando la sua
sottomissione alla fine dell’esperienza scolastica sarà tale da subire
con tremore e ossequio la tortura di esami insensati e vessatori, in
cambio riceverà il diploma. Maturo. Maturo a sottomettersi per tutta la
vita a un lavoro di otto o dieci ore al giorno, insomma un ergastolo
vestito da “necessità sociale”. Così,
di anno in anno, di programma in programma, il genocidio si compie,
facendo nascere nei giovani una legittima repulsione per qualsiasi cibo
culturale che non sia la frivola, superficiale lista di scempiaggini da
fast food culturale dei giornali sportivi o scandalistici, la
pornografia, i film industriali, le soap opera, gli inviti lusinghieri a
tentare la fortuna al lotto o al gratta e vinci, la cultura sciatta e
triviale della tifoseria nel calcio, la bassa qualità del diverbio
politico tra i partiti. La
libertà di imparare invece condurrebbe a una armonica crescita
dell’infanzia all’interno di una personalità sempre più sicura di sé,
capace di costruirsi un proprio destino, senza alcuna traccia di
sottomissione o di dipendenza. “Cosa proponi dunque come alternativa a proposito della scuola?” “Mi
piacerebbe che alle scuole accadesse quello che giustamente è accaduto
ai manicomi. E cioè che tutte le scuole venissero chiuse. Messe
fuorilegge. E che ci fossero dei Centri di Salute Culturale (così come
invece dei manicomi ci sono dei Centri di Igiene Mentale) nei quali i
bambini, i ragazzi e i giovani andrebbero, spinti dalla necessità di
imparare, trovando operatori culturali in grado di fornire loro le
informazioni giuste sui vari meccanismi di apprendimento, libri, cinema,
computer, sull’uso di biblioteche, di nastroteche per accedere ai
massimi capolavori dell’arte e così via… dei laboratori, insomma. Spazi
di incontro da frequentare soprattutto in caso di pioggia. Un buon
computer costa mille volte meno di un insegnante e “sa” mille volte di
più. Inoltre, una volta liberate le strade cittadine dalle automobili
con efficienti installazioni di marciapiedi mobili e una volta liberati
gli esseri umani dall’obbligo di lavorare più di tre ore al giorno,
ognuno diverrebbe insegnante di ciascuno. E allora ogni essere umano
sarebbe tanto “essere umano” quanto ogni gatto è stupendamente “Gatto”. Ma
dove si andrebbe a finire se tutti gli esseri umani coincidessero con
se stessi? Cosa potrebbero fare nel tempo che ora li occupa a lavorare? Va
detto che, a chiunque io abbia fatto questo discorso, la classica
opposizione è la seguente: “Certo, lo so che sono prigioniero di una
serie di gabbie invisibili, il lavoro obbligatorio, la famiglia subìta
perché mal frequentata, il desiderio di denaro come frutto di una
perenne indigenza ecc…ma tutto ciò mi offre almeno una certa sicurezza.
Cosa farei se fossi libero?” È proprio l’impossibilità di concepire la libertà che rende l’uomo schiavo. Essere
riusciti a togliergli la possibilità perfino di immaginare una vita
vissuta nella libertà lo rende perfettamente sottomesso, uno schiavo
moderno..
“La scuola è
una roba da stare in gabbia, a scuola non puoi vivere, non puoi giocare…
Poi la maestra se non stai seduto ti dà la nota, tutte robe che con la
vita non c’entrano. Invece nella vita c’entra la gioia, l’amore, la
felicità” (Francesco 8 anni).
Fonte: www.artediessere.com
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