Dormire troppo poco provoca la morte delle cellule cerebrali. E' il risultato di uno studio condotto da un team di ricercatori della School of Medicine dell’Università della Pennsylvania, che ha condotto una ricerca sugli effetti della deprivazione del sonno sui topi. I roditori sono stati posti in un ambiente che replicava le cause tipiche della deprivazione di sonno, come i turni di lavoro
notturni o, semplicemente, un sovraccarico di lavoro che, spesso, può
obbligare chiunque a stare in ufficio fino a tardi. Dopo diversi giorni a
questo ritmo – i topi potevano dormire solo quattro o cinque ore per
notte – i roditori avevano perso il 25% delle cellule cerebrali, in gran parte appartenenti al tronco cerebrale.
Secondo i ricercatori si tratta di una prova evidentissima di come la
mancanza di sonno porti alla perdita di cellule cerebrali: tuttavia sono
necessari ulteriori studi per riuscire a stabilire se la deprivazione
di sonno possa provocare gli stessi danni anche a un cervello umano. Danni che oltretutto sarebbero irreversibili, ma che non è detto si producano allo stesso modo anche sull’uomo,
come sottolinea il professor Hugh Piggins della University of
Manchester: «Gli autori hanno fatto un parallelismo tra i turni di
lavoro notturni e la deprivazione da sonno e hanno concluso che la
mancanza cronica di sonno può avere delle ripercussioni non soltanto
sulla nostra salute fisica, ma anche su quella mentale –
ha spiegato – Ma questa possibilità deve essere dimostrata da molte
altre ricerche, nonostante sia fuori discussione che una buona igiene
del sonno sia fondamentale per il benessere di una persona». In contrapposizione a tutto ciò fare esercizio fisico aiuta a "ricostruire" il cervello. L’esercizio fisico, come è noto da tempo, giova non solo al corpo ma anche al cervello, grazie alla produzione di nuovi neuroni.
I ricercatori dell’Istituto di biologia cellulare e neurobiologia del
Consiglio nazionale delle ricerche (Ibcn-Cnr) di Roma hanno però
dimostrato per la prima volta che la corsa è in grado perfino di bloccare il processo di invecchiamento cerebrale e di stimolare la produzione di nuove cellule staminali,
che migliorano le capacità mnemoniche. Lo studio è stato pubblicato
sulla rivista Stem Cells. “Questa ricerca ha scardinato un dogma della
neurobiologia: finora si pensava che il declino della neurogenesi
nell’età adulta fosse irreversibile”, ha spiegato Stefano
Farioli-Vecchioli dell’Ibcn-Cnr, coordinatore dello studio. “Con il
nostro esperimento, lavorando su un modello murino con deficit neuronali
e comportamentali, causati dalla mancanza di un freno proliferativo
delle cellule staminali (il gene Btg1), abbiamo invece constatato – ha
continuato – che nel cervello adulto un esercizio fisico aerobico come
la corsa blocca il processo d’invecchiamento e stimola una massiccia
produzione di nuove cellule staminali nervose nell’ippocampo,
aumentando le prestazioni mnemoniche. In sostanza la neurogenesi
deficitaria riparte quando, in assenza di questo gene, si compie un’attività fisica
che non solo inverte totalmente il processo di perdita di staminali ma
scatena un’iper-proliferazione cellulare con un effetto duraturo”. Lo
studio è stato realizzato nel laboratorio diretto dal dott. Felice
Tirone, che da anni studia alcuni meccanismi molecolari che regolano i
processi di proliferazione e differenziamento nella neurogenesi adulta.
La ricerca è stata portata avanti in collaborazione col dott. Vincenzo
Cestari dell’Università Sapienza di Roma, apre nuovi scenari nella medicina rigenerativa
del sistema nervoso centrale. “La scoperta pone le basi per ulteriori
ricerche mirate ad aumentare la proliferazione delle staminali adulte
nell’ippocampo e nella zona sub ventricolare. I risultati avranno delle
implicazioni molto importanti per la prevenzione dell’invecchiamento e
della perdita di memorie ippocampo-dipendenti”, ha detto
Farioli-Vecchioli. Per quanto riguarda le patologie neurodegenerative,
“le potenzialità terapeutiche di queste cellule sono davvero ampie,
anche se a breve termine non possono scaturire terapie mirate. Il
prossimo passo sarà validare la scoperta su altri modelli murini con
malattie quali Alzheimer, Parkinson oppure in cui un evento
ischemico abbia provocato un’elevata mortalità neuronale, isolando e
trapiantando le cellule staminali iper-attivate”.
Nessun commento:
Posta un commento