Evviva l'ottimismo! - la psicologia del pensiero positivo
di Enrico Maria Secci
L’ottimismo è una qualità umana affascinante e una delle dimostrazioni
più concrete del potere che la nostra psiche può esercitare sulla realtà. Dalla fine degli anni ’70 le
indagini scientifiche sull’ottimismo hanno evidenziato che la capacità di affrontare positivamente la vita e gestire le
difficoltà con un atteggiamento fiduioso e costruttivo aumenta la possibilità
di raggiungere risultati sul lavoro e favorisce lo sviluppo di relazioni
affettive stabili e soddisfacenti. Gli ottimisti sono meno
soggetti a depressione, ansia, fobie e altri disturbi psicologici ma non solo,
preservano l’efficienza del sistema immunitario e, secondo molti studi, godono
anche di una migliore forma fisica e vivono più a lungo anche quando il loro
organismo è colpito da malattie come arteriosclerosi e aids (Seligman, 2005,
2012). Per gli scettici della psicologia, le nuove tecniche di neuro-imaging, che permettono di fotografare il
funzionamento del cervello, hanno dimostrato che le persone ottimiste
presentano una maggiore reattività delle aree cerebrali connesse
all’elaborazione delle emozioni e, rispetto ad altri
soggetti, hanno livelli minori di cortisolo, l’ormone prodotto in risposta allo
stress.
Ottimismo ottuso e ottimismo realista.
Eppure la rappresentazione sociale dell’ottimismo é
spesso associata a caratteristiche negative, come superficialità e scarsa
intelligenza. Tendiamo a percepire come più “profonde” le
persone cupe e tormentate in virtù dello stereotipo negativo ed esasperato
dell’ottimista sciocco e svagato che nega ed evita le difficoltà e ogni aspetto
problematico dell’esistenza. Questa modalità di pensiero è indubbiamente
disfunzionale ed é indicata in psicopatologia come sindrome di Pollyanna o ottimismo ottuso,
non ha nulla a che vedere con l’ottimismo realista ed tanto dannosa quanto il
pessimismo. Al di là della distorsione sociale prevalente, l’ottimismo é
una forma di intelligenza molto acuta, associata alla capacità di analizzare i
problemi in modo costruttivo ed efficiente e alla tendenza a
considerare i fallimenti e gli eventi traumatici come circostanze singole ed
eventi transitori. L’ottimista sceglie di pensare che le
proprie azioni abbiano conseguenze positive sulla realtà e coltiva la
convinzione che le proprie decisioni possano influenzare positivamente il
futuro (Tiger, 1979). Per
spigare l’ottimismo é consuetudine ricorrere all’esempio del bicchiere
riempito per metà: il pessimista sussurra tristemente che è mezzo vuoto,
l’ottimista ottuso grida al mondo che é mezzo pieno e l’ottimista realista
se lo beve con grande soddisfazione.
Imparare l’ottimismo.
L’ottimismo
non é mero dato caratteriale, ovvero una qualità innata, ma dipende dal modo in
cui, sin da bambini, gli individui spiegano a se stessi successi ed eventi
traumatici. Chi tende a
attribuire alla sfortuna o alla “vita” fatti dolorosi compie, senza averne
spesso coscienza, una scelta arbitraria e deliberata che influisce negativamente
sulla sua futura capacità di percepire costruttivamente la realtà e di
elaborare soluzioni creative. Viceversa, le persone che
alimentano una visione aperta e flessibile in circostanze critiche, creano i
presupposti per superare situazioni obiettivamente sfavorevoli e costruire
realtà positive e soddisfacenti.
L’ottimismo, dunque, può essere
appreso nella misura in cui riconosciamo che gran parte della nostra felicità e
infelicità derivano dall’utilizzo che facciamo del nostro cervello, anziché subirne
passivamente gli automatismi.
05 giugno 2014
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